Essere genitori significa essere come piante a stelo lungo esposte a forti raffiche di vento, provenienti da direzioni opposte: o siamo troppo indulgenti o siamo troppo severi, o li difendiamo sempre o li abbandoniamo davanti alla televisione. E l’aspetto ironico di tutto ciò è che riceviamo tutte queste critiche essendo sempre gli stessi, di volta in volta.
Nel giro di poche ore ho sentito l’opinione di Crepet sui bambini di oggi che sarebbero piccoli Buddha a cui siamo devoti e ho avuto un’esperienza curiosa al parco, di segno diametralmente opposto.
Mentre mio figlio competeva con altri bambini per la supremazia sullo scivolo, ha dato una spinta a un bimbo più piccolo e sono intervenuta per dire che non si fa, in modo abbastanza deciso. Pochi istanti dopo l’ho sgridato di nuovo per un altro gesto simile. Una mamma (di un bimbo più piccolo), mi apostrofa con “signora, l’educazione si impara un poco alla volta”, a mio parere per dire che pretendevo troppo. Ormai intorno ho una noce, che mi rende refrattaria alle critiche fuori contesto e quasi mi dispiace raccontare questo episodio. Ma, come tutto ciò che mi accade intorno, gli eventi sono un pretesto per riflettere su un quesito su cui i genitori oscillano e che si riassume in questi due episodi:
Come faccio a sapere quando è giusto sgridare un bambino e quando invece posso lasciar correre perché è troppo piccolo per capire?
Siccome all’università non ho mai trovato sui miei libri di testo l’espressione Terrible Two, non ero sicura se si trattasse di un termine scientifico o di un’espressione colloquiale o di una moda. Scientifico o meno che sia il termine, c’è stato comunque un salto nella vita affettiva di mio figlio, che è coinciso anche con un cambiamento fisico. É passato dall’essere un bebè ad essere un bambino. Contemporaneamente la mamma (cioè io) ha cominciato ad essere un fatto ovvio e poco interessante, tranne nei momenti in cui c’è bisogno di sicurezza. Mi piace pensare di aver fatto bene il mio lavoro. Se un bambino è sicuro, non rimane attaccato alla base. Esplora. Tenta di cavarsela da solo.
Me ne sono accorta un giorno a pranzo, durante l’inserimento al nido. Mio figlio ancora non parlava bene, aveva solo 15 mesi e mentre lo imboccavo sul seggiolone diceva: “Lolo, lolo, lolo” e non capivo cosa significasse. Poi mi ha strappato il cucchiaio di mano e se lo è portato alla bocca. Ah, ecco. Da solo, voleva fare da solo.
Demarcarsi, prendersi il proprio spazio per crescere, non può essere fatto se non con una crisi. Questa crisi può essere amplificata dal temperamento del bambino, o magari dalle nostre resistenze nel lasciargli autonomia, ma ci deve essere.
Oggi, quando vedo mio figlio correre o saltare lontano, il mio cuore è colmo di gioia, ma in un angolino piccolo, nello stesso spazio colmo, sento la mancanza di tutto il contatto che ci è servito per arrivare fin lì.
Prima di rispondere alla domanda “sgridare o lasciar correre?” ci terrei a fare un elenco puntato di alcune importanti premesse:
- non tutte le giornate sono uguali, né per noi, né per i nostri figli: il giorno in cui abbiamo la cervicale è diverso dal giorno in cui non l’abbiamo e la soglia di tolleranza al capriccio si alza e si abbassa di conseguenza.
- Le azioni sono sempre all’interno di un contesto, fatto di eventi accidentali (la cervicale della mamma, quanto ha dormito il bambino), relazionali (che rapporto ho con mio figlio), situazioni esterne (che periodo stiamo passando in famiglia) cosa è successo durante la giornata e mille altre variabili. E’ principalmente mentale, non si vede dall’esterno. Quello che noi vediamo è sempre un episodio, tolto dal contesto mentale dei protagonisti, filtrato dal nostro punto di vista, che è a sua volta un altro contesto rispetto a quello degli altri. Proprio perché le azioni vengono generate in contesto, non andrebbero mai prese per come appaiono.
- Questo lo scrivo in stampatello maiuscolo e in grassetto: LE EMOZIONI SONO SEMPRE GIUSTE, POSSONO NON ESSERLO LE SPIEGAZIONI CHE CI DIAMO O LE REAZIONI CHE ABBIAMO. Se un collega ci fa arrabbiare, il consiglio “fregatene” ci dà un po’ fastidio. Ovvio, che se ne fossimo capaci lo faremmo, senza bisogno di consigli. Dire ad un bambino “non ti arrabbiare per queste cavolate” è come quando noi ci sentiamo dire “fregatene”.
Fino ai due anni circa, chi prima chi dopo, il pianto non è un capriccio, il pianto segnala qualcosa. Tra i 15 e i 18 mesi, chi prima chi dopo, il bambino comincia ad affiancare al pianto qualcos’altro: indicare per segnalare che vuole qualcosa o una direzione verso la quale vuole andare, a lanciare gli oggetti quando si arrabbia e da lì in poi è un crescendo, sia per quanto riguarda il numero di parole che può pronunciare, sia per quanto riguarda la sottigliezza dei suoi desideri. A due anni una crisi di pianto può iniziare perché il bicchiere a tavola è del colore sbagliato e magari ne rimaniamo sorpresi perché fino al giorno prima andava bene.
- L’escalation di grida non funziona con i Terrible Two. Se gridiamo, è bene farlo nella consapevolezza che il bambino non smetterà di piangere, ma che siamo noi che buttiamo fuori rabbia o frustrazione, perchè sono emozioni esplosive ed esplodere è la reazione immediata che serve per abbassare un pochino la tensione. Vi succede? E’ umano. E’ meglio evitare? Certamente.
- Lo scapaccione sul pannolino non funziona con i Terrible Two, per i motivi di cui sopra e ha la stessa funzione di cui sopra.
- Non funziona spiegare all’infinito, nemmeno se i bimbi parlano bene, perchè questo non significa che capiscano altrettanto bene.
Alcuni momenti di rabbia si possono dribblare.
- I bambini sono rassicurati dalla prevedibilità e si arrabbiano se viene cambiato uno schema. Posso uscire di casa da sola con mio figlio e lui molto serenamente agiterà la manina dicendo “ciao papààààà”, ma se usciamo tutti e tre insieme e lo schema è che usciamo in tre, dimenticare il telefono in casa significa un quarto d’ora di pianto inconsolabile. Può succedere, ma uno dei modi per evitare esplosioni è: se puoi cerca di svolgere nello stesso modo alcune operazioni. L’eccesso in questo senso può imprigionare i bambini e voi in una routine obbligatoria, quindi la cosa più difficile è trovare un equilibrio tra prevedibilità ed eccezioni. In linea di massima, cercate di capire se è giornata per cambiare uno schema. Se sono le 7 di sera e il bimbo è stanco evitate, se potete. Che in una famiglia è un grosso SE. Ma alle volte per interrompere il pianto basta ripristinare lo schema abituale.
- Usate il minor numero di parole possibili per spiegare una cosa, i bambini piccoli non afferrano frasi complesse. L’altro giorno mio figlio ha fatto un capriccio, lui ha ovviamente ha esclamato “voglio papà!” e io ho replicato pazientemente “le regole sono uguali per me e per papà, se ci fosse stato lui si sarebbe arrabbiato uguale” e poi ho dovuto rassicurarlo del fatto che papà non era arrabbiato, perchè non c’era. Mi sono infilata in un ginepraio perchè a due anni le ipotesi e le possibilità sono difficili da capire e le cose o ci sono o non ci sono. Sto ancora pensando a una risposta corta e giusta, se ne avete una… aiutatemi!
- Riconoscete sempre come valida l’emozione e spiegate solo poi come reagire, non è detto che si debba per forza dirlo con calma, va bene anche mostrarsi arrabbiati. “Sei arrabbiato perchè stavi giocando, ma si deve cambiare il pannolino! Farò in fretta come un furetto!”
- Se ce la fate, se non siete stanchi, buttatela sul ridere. Ci sono giorni in cui ci riesce e giorni in cui no, ma nelle giornate in cui siamo forti, è una grande risorsa. Alle volte è utile fare il cambio della guardia. Ci sono momenti in cui magari sento la rabbia che mi si accumula sulla fronte e prima di sbottare chiamo mio marito, che ormai lo sa, arriva e fa un cucù, ci facciamo una risata e finisce lì. Alle volte siamo stanchi entrambi e vabbè.
- Il bambino non ha ancora una teoria della mente del tutto completa e quindi non sa che se sei di spalle non vedi quello che vede lui. Dal suo punto di vista, se ti chiede “E quello cos’è?”, ma stai guidando, tu sei testimone di quel gesto quanto lui e se non rispondi si arrabbia. Glielo devi spiegare che non hai visto? Sì. Lo può capire alla prima? No, gli ci vorrà almeno un altro anno e mezzo. E’ giusto sentirsi frustrati? E’ umanissimo. Serve arrabbiarsi? Decisamente no. Personalmente glielo spiego due o tre volte, poi rispondo a caso, generalmente con quello che vedo alla mia destra e la risposta sembra soddisfacente. Amen.
- Fissate alcune regole in positivo, prima o dopo aver riconosciuto come valida l’emozione, in modo da evitare o mettere in seconda battuta il no. In questo modo darete indicazioni su cosa fare: se dico “capisco che sei arrabbiato, ma botte no”, ma poi non dico cosa fare, il bambino rimane confuso e senza strategia di fronte alla rabbia. Noi abbiamo scelto degli slogan: Bacini sì, botte no, dillo con le parole! – in bocca solo la pappa – i giochi al parco sono di tutti – aspetta il tuo turno sull’altalena, se ci vuole tanto, cantiamo! – Parla piano, così! Sulle regole che avete deciso essere irrinunciabili, vale la pena insistere. Se vi sembra di cambiare idea come le banderuole, scrivetele, a beneficio anche dei nonni. Mio figlio non è un soldatino: non gli piace aspettare, grida quando è felice o quando vuole richiamare la tua attenzione mentre tu chiacchieri con qualcuno, spinge o insiste molto quando vuole qualcosa. Ma non è che ho fallito come mamma, è che ha ragione la signora dell’inizio, l’educazione si impara un poco alla volta (attraverso molte ripetizioni), però a patto di insegnarla (che è ciò che le ho risposto io).
- Permettete ai bambini di scegliere laddove possono, cioè all’interno di vincoli. Possono scegliere tra un bicchiere giallo e uno blu, non possono scegliere un bicchiere di vetro. Se la questione si fa lunga, sentite la rabbia che monta, prima di esplodere, se potete, lasciate calmare le acque e tornateci sopra dopo. La guerra non finisce con chi grida più forte. Specialmente se siete a tavola, la guerra finisce che i bimbi non mangiano e alle volte nemmeno i genitori. Il che di per sè non è mortale, ma se si può evitare…
- L’ultima, ma non meno importante: astenetevi dall’intervenire se il partner sta sgridando vostro figlio. Se vi dispiace o vi arrabbiate, fate uno sforzo di autodisciplina e rimanete in silenzio, vi chiarirete dopo. Se io sgrido mio figlio e mio marito gli spiega le cose con calma, agli occhi del bambino, il secondo intervento è sempre migliore; se mio marito interviene su mio figlio e io o uno dei nonni lo prendiamo in braccio, si squalifica l’intervento dell’altro; se tutti e due ci arrabbiamo moltissimo il bambino si sentirà perduto. Se uno affronta un problema educativo con il bambino, inizia e finisce e non chiama in aiuto nessuno e non chiede nemmeno conferma. L’importante, ed è davvero importante, è mettersi d’accordo sulle posizioni e portarle avanti in due. Se per caso c’è una novità e l’altro non è d’accordo se ne può sempre discutere in separata sede, ma mai mai mai squalificare il genitore che parla. Per questo forse alle volte vale davvero la pena scrivere le regole, anche solo per se stessi.
E, in conclusione, accettate il fatto che non può essere facile e nemmeno perfetto, che le nostre decisioni, per funzionare, hanno bisogno di tempo. Perchè se i bimbi nascessero educati, non avrebbero bisogno di noi 😉
Buona sopravvivenza a tutti!