Piangere fa bene ai polmoni? 7 miti da sfatare sui neonati

Avere dei figli è una scelta personale, eppure spesso, in qualità di genitori, riceviamo osservazioni e commenti non solo dalla famiglia estesa, ma anche dai passanti, dagli anziani nei negozi. Mi è capitato spesso di affermare: “Sono sempre stata una professionista seria, affermata ed autonoma, ma da quando mi si vede la pancia, tutti si sentono in dovere di dirmi cosa devo fare” Perché?

Perché siamo primati, essenzialmente.

Cosa vuol dire? Che viviamo in gruppi e la dimensione sociale nella nostra mente, che ci piaccia o no, è sempre presente. Anche quando scegliamo di stare da soli, lo facciamo sempre in rapporto agli altri, ci isoliamo avendo in mente delle persone da cui allontanarci. Per questo motivo i bambini vengono sentiti dalla comunità come un patrimonio comune, come in effetti sono. E’ vero che scegliamo noi, personalmente, per i nostri intimi motivi di avere dei figli, ma è innegabile che questa scelta abbia un risvolto sociale: i nostri bambini sono le future generazioni, ciò che gli anziani pensano di lasciare su questa terra, sono il nostro presente. Sono i medici, gli insegnanti, i commessi, gli impiegati e gli artisti di domani, sono quello che le genetica definisce in maniera un po’ asettica come “successo riproduttivo” e “sopravvivenza della specie”. Riguardano tutti e interessano a tutti. Questo non vuol dire che sia piacevole ricevere critiche o apprezzamenti e nemmeno che sia corretto esprimerli. E’ una di quelle informazioni che mi aiuta ad avere pazienza e non rispondere, di solito.

  • E’ naturale attaccarsi subito dopo il parto ai propri figli, coccolarli ed amarli fin dal primo momento? Vi rispondo con un’altra domanda: ci innamoriamo tutti nello stesso modo? Ogni persona si innamora in modo diverso, non siamo solo diversi gli uni dagli altri, ma siamo anche diversi noi nel corso della nostra vita. Una madre che ha subito diversi aborti spontanei prima di riuscire ad avere il suo bambino proverà sentimenti diversi dalla madre che ha avuto una gravidanza fisiologica. E sono diverse anche le storie, le relazioni e i contesti che precedono la nascita dei bambini. Innamorarsi del proprio figlio può non essere immediato e non si dovrebbe nè giudicare nè spaventarsi. Ma aprirsi con qualcuno in caso di disagio può essere molto importante.
  • Piangere fa bene ai polmoni dei bamini? Solo la prima volta, al primo respiro. Da lì in poi, il pianto è, nel senso di equivale a, il comportamento di attaccamento, cioè il segnale che qualcosa non va, che il bambino ha bisogno di: cibo, riposo, vicinanza, calore, qualcosa che gli faccia passare il dolore ecc ed è così fino a circa i due anni. Fino a una certa età i capricci non esistono. Quello che più facilmente accade è che siamo noi a non capire il motivo per cui nostro figlio piange. Siamo cattivi genitori se non lo sappiamo tutte le volte? No. La frustrazione nel non riuscire a farsi capire è l’emozione che stimola i nostri bambini ad acquisire il linguaggio. Ben venga questa incomprensione. Siate solo pazienti. Come dice uno dei miei libri preferiti per l’infanzia “non si può passare sopra, non si può passare sotto… Oh, no! Ci dobbiamo passare nel mezzo”
  • Piangere fa gli occhi belli? Nemmeno la prima volta 🙂 Ma credo che il senso di questa frase sia che se il bambino piange un pochino non muore, si fortifica. E questo, nelle giuste dosi, è vero.
  • Se il bambino si abitua a stare in braccio, poi non scende più? Ni. I bambini hanno bisogno di coccole, la componente principale dell’attaccamento è l’affetto, perchè sull’affetto e sulla percezione che la mia mamma (e/o il mio papà) ci saranno sempre quando avrò bisogno, costruisco la mia sicurezza e la possibilità di allontanarmi da loro, esplorare il mondo. Ciò che conta non è se o quanto teniamo in braccio i nostri neonati, ma è se siamo sintonizzati sui loro bisogni, se li lasciamo liberi di stare con noi quando lo desiderano e liberi di esplorare quando e come lo desiderano. Prima o poi in ogni caso i bimbi smetteranno di stare in braccio, per lo meno per raggiunti limiti di peso. Quello che conta è se siamo consapevoli di ciò che in un determinato momento della loro vita i bambini sono in grado di fare da soli. Alle volte il pianto segnala frustrazione: possiamo decidere se prendere i bambini in braccio o aspettare un pochino che risolvano da soli, ma qual è la decisione giusta dipende se la situazione davanti alla quale il bambino si trova può essere da lui risolta o meno. Come si fa a saperlo di volta in volta? Bisogna accettare, perchè è un fatto ineludibile, che lo sapremo solo dopo molti anni o addirittura mai. Ci sono delle indicazioni di massima, ma nella saggezza delle frasi fatte, l’espressione “ogni bimbo è a sè” è vera. Ogni bimbo nasce con un temperamento e ha, per così dire, delle preferenze per quanto riguarda l’espressione o la richiesta di contatto fisico. La cosa migliore che possiamo fare è accettare nostro figlio per come è e assecondarlo. Il temperamento non è un destino, è la radice della persona che diventerà nostro figlio e come ben sapete, tutti gli alberi crescono e non tutte le querce sono uguali 🙂 In conclusione: non c’è una regola. Se il bambino vuole sempre stare in braccio lo fa perchè è piccolo o perchè siamo noi a bloccare la sua esplorazione? La risposta risiede in una domanda diversa: non domandatevi come costruire un attaccamento sicuro. Chiedetevi: “sono un adulto sicuro?” e vi risponderete da soli.
  • I neonati devono dormire da soli nel loro lettino? Dipende. Sarà esperienza di molti genitori che hanno figli grandi, che un neonato può dormire profondamente in braccio, ma che si sveglierà appena lo appoggeremo nel lettino, oppure che può non accorgersi dei martelli pneumatici in strada, ma si sveglierà non appena la mamma si alzerà dal letto. Vale la regola di cui sopra. I neonati hanno un sonno molto leggero su ciò che conta per loro, cioè il contatto con la mamma. Il nostro cervello si è evoluto nella savana, ma non sa che non ci viviamo più e, specie nelle prime fasi dello sviluppo, vive ancora lì. Per questo motivo fino ai sei anni-sette è normale che i bambini ricerchino nella notte il contatto con i genitori. Certamente se per un genitore è importante l’autonomia in questo senso, la insegnerà al proprio bambino. Ma dovrà farlo con la consapevolezza che per alcuni bimbi è più facile accettarlo che per altri e che ci potranno essere tante lacrime o poche lacrime, ma ci saranno. In ogni caso, prima o poi, i bambini arriveranno comunque a dormire da soli nel proprio letto, a patto che non siamo noi a bloccare la sue esplorazione di questa possibilità.
  •  E’ vero che bisogna far capire ai bambini chi comanda? Questa è un’espressione che non amo, perchè presuppone una sorta di lotta e di antagonismo tra genitori e bambini che non credo sia una buona premessa in una relazione affettiva. Se con questa espressione si intende che se il bambino esprime dei bisogni non dobbiamo ascoltarlo, non posso essere d’accordo. Del resto se mio figlio mi dice: “Voglio stare a casa” è perchè è stanco, io posso decidere di uscire lo stesso (magari perchè ne ho necessità), ma lo devo fare nella consapevolezza che se poi piangerà non sarà un capriccio, ma sarà stanchezza e la punizione o la sgridata saranno ingiusti. La stanchezza è un’emozione, e come tale è giusta, quello che posso fare è regolarne l’espressione, ma senza imposizioni, solo trasmettendo strategie. Anche questa è esplorazione, nel senso che insieme cerchiamo un modo di assolvere alle nostre mansioni anche quando siamo stanchi: le prime volte può non riuscire bene, ma prima o poi troveremo il sistema. Se invece il significato di “chi comanda” è che noi siamo gli adulti e che ci dobbiamo assumere la responsabilità di prendere le decisioni su ciò che il bambino non può ancora scegliere, allora sono d’accordo. Ma anche questa è esplorazione. Mio figlio mi sa dire se vuole un piatto verde oppure blu, sa cosa vuole indossare al mattino, ma se gli chiedo cosa vuole per cena, a quasi tre anni o non mi risponde o risponde a caso e non è detto che sia quello che effettivamente vorrà (esperienza personale). In questo caso decido io e me ne assumo la responsabilità, ma ogni sera a cena la preoccupazione se ho scelto il piatto giusto o no ce l’ho, perchè anche sull’appetito non si comanda. A me non piacerebbe che qualcuno mi obbligasse a mangiare qualcosa che non voglio.
  • Se vizi troppo un bambino poi cresce viziato? Mettiamoci d’accordo su cosa intendiamo per vizi. Se per vizi intendiamo le coccole, lo scrivo maiuscolo NO. Alle coccole, alle dimostrazioni di affetto non c’è limite, l’unico limite è dimostrare l’affetto per forza, quando il bambino non vuole. Se mio figlio ride e sta correndo con i suoi amichetti e io lo interrompo per dargli un abbraccio, lo faccio per me, non perchè lui me lo chiede e potrebbe non essere piacevole, ma nella reciprocità non c’è limite. Quando mio figlio era piccolo e mi sentivo dire questa frase, rispondevo sempre “ma se io voglio stare con lui e lui vuole stare con me, che male c’è? Diventerà grande, non staremo così per sempre, perchè dobbiamo rinunciare?” Però oggi, che ride e corre con i suoi amici, non lo interrompo. Tanto prima o poi allunga il giro, mi abbraccia una gamba e riparte e mi godo il mio presente così. Come dice Bowlby “per la maggior parte del tempo, il ruolo della base è un ruolo di attesa”. Se per vizi intendiamo comprare i giocattoli, continuo a non esser d’accordo. Il gioco è la dimensione in cui il bambino fa esperienza del mondo, privarlo del gioco è come privarlo della possibilità di fare esperienza. C’è differenza però tra l’intendere il gioco in questo modo, che implica il farlo insieme, con un obiettivo e comprare oggetti per non sentire mio figlio che piange o perchè non sopporto la sua frustrazione. Però su questo punto il problema, al solito, non riguarda tanto il comprare giochi e libri, quanto il rapporto che ho con le mie emozioni di genitore, con le emozioni di mio figlio e con il resto della mia vita. Se per viziato si intende invece che un bambino non ha regole, allora qui sono d’accordo. Ma contestualizziamo: le regole devono essere adatte ai bimbi. Non posso chiedere a un bambino di un anno di non mettersi in bocca i giocattoli, non la può rispettare. Ma posso chiedere a mio figlio di quasi tre anni di lavarsi le mani quando rientra a casa.

Mi sembra di aver sfatato abbastanza miti, ma se ne avete altri che ho dimenticato chiedete pure e vi risponderò!

Buona giornata a tutti!

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