Tempo fa su Facebook lessi questo articolo, di cui condivido ogni parola. Tuttavia penso che nella vita tutti i giorni sia difficile capire in che modo possiamo mettere in pratica davvero ciò che c’è scritto in questa interessante lettura.
Ma che cos’è il successo?
Come la felicità e l’amore, il successo è uno di quei termini che utilizziamo senza accordarci sul suo significato, non immaginando quanto profondamente personale sia. A proposito di un articolo che parlava di genitori che riversavano ambizioni personali sui figli, lessi il commento di una mamma: “sono orgogliosa del 6,5 di mio figlio”, facendo poi un elenco di qualità non scolastiche davvero ammirevoli, come il comportamento generoso e altruistico nello sport. Al di là di ciò che ognuno pensa del 6,5, la mia domanda è: l’orgoglio è un’emozione necessaria?
La Treccani definisce il successo come “riconoscimento dei proprî meriti, approvazione del proprio operato da parte di altri, favore pubblico”. Da genitori sarebbe utile osservarsi e rispondere alla domanda: perchè per me è importante che mio figlio abbia successo? Che senso mi dà di me?
Un problema con cui mi sono spesso scontrata nel lavoro di orientamento scolastico e professionale è la confusione dei ragazzi e degli adulti nel riconoscere la propria passione e perseguire una strada. Succede in particolar modo ai ragazzi che hanno una pagella omogenea, cioè voti simili in tutte le materie o agli adulti che hanno avuto diverse delusioni professionali, oppure a persone disoccupate da un lungo periodo: spesso la causa risiede nella confusione tra talento, successo e preferenze.
Come si fa ad aiutare i propri figli a scoprire dentro di sè la propria passione? E perchè è importante farlo? Come si collega tutto ciò con il successo?
L’esplorazione è un viaggio che può avere diverse direzioni: riguarda il mondo, nel senso di spazio fisico, ma riguarda anche noi stessi, le nostre emozioni, le nostre sensazioni, le nostre capacità. Per un bambino esplorare può essere provare uno scivolo particolarmente ripido oppure vedere l’effetto che fa sul proprio stato d’animo suonare uno strumento musicale. E’ sempre esplorazione. Quanto lasciamo i nostri figli liberi di provare?
Spesso noi genitori confondiamo la performance con l’obiettivo.
Un esempio per me abbastanza familiare è l’approccio che molti genitori hanno alla lettura a bassa voce con i propri bebè. La prima esplorazione di un libro è sempre fisica, tattile, motoria: un bambino prima lo tocca, lo schiaccia, lo gira, lo succhia e lo smangiucchia, per capire cos’è, solo poi capirà che si può aprire, poi dopo scoprirà che si può sfogliare, verso i 15 – 18 mesi capirà quali sono il dritto e il rovescio, comincerà a sfogliarlo da solo e magari a ripetere l’ultima parola che leggerete o i versi degli animali. Ci sono genitori rispettosi di questa gradualità, consapevoli del fatto che si impara per gradi, che hanno fiducia nel proprio cucciolo d’uomo e lo lasciano libero di decidere cosa fare con un oggetto, indicando e condividendo altri aspetti di ciò che sta manipolando, magari fornendo loro materiali che gli consentano di compiere queste esplorazioni in sicurezza, con libri di stoffa e cartonati “Uh! Che bello! Hai visto? C’è un topino qui sopra! E come fa? Squit! E senti che morbidino! Ti piace?”, magari ignorando quello che c’è scritto. Genitori (la maggior parte, a dire il vero) che rinunciano a leggere lì per lì, fanno un passo indietro per permettere ai propri figli di farne uno avanti da soli. Altri genitori hanno in mente l’ideale del bambino in braccio che ascolta il genitore che legge (che, beninteso, è un traguardo), si aspettano che il proprio figlio capisca ciò che gli viene chiesto, magari a 15 mesi, bloccano la manipolazione, perchè “i libri non si mangiano, così sono storti, le pagine si sfogliano e puoi girare la pagina solo quando ho finito di leggere”, così il bambino si annoia e se ne va. “Ecco, a mio figlio non piace leggere!”
In ogni fase della vita dei figli il nostro compito è quello di insegnare loro ad esplorare, cercando il più possibile di ignorare l’ideale che abbiamo in mente. Non vi nascondo che spesso ho pensato “ma la mamma di Luca Parmitano, come sarà? Ma le sarà esploso il cuore di gioia o avrà i piedi per terra?”, tuttavia cerco di dimenticarmelo, perchè so che se avrò troppo in mente questa prospettiva, quasi certamente rimarrò delusa, oppure no, ma al prezzo della libertà di mio figlio di scegliere ciò che più gli piace fare. Ovvero, potremmo anche ottenere dai nostri figli il successo (ammesso che funzioni), una posizione socialmente ammirata, ma avremo la loro felicità? Molti bambini con difficoltà scolastiche hanno famiglie colte e preparate, ma ambiziose, che lasciano ai figli solo la scelta se conformarsi alle aspettative od opporsi ad esse e disinvestire energie dall’apprendimento.
Molti ragazzi non riescono a scegliere la scuola superiore non perchè non siano liberi, ma perchè lo sono troppo e si sentono dire “Fai quello che vuoi, che per noi va bene lo stesso”, però poi hanno difficoltà a capire come fare a scegliere, quali sono i sentimenti e i fattori esterni che devono tenere presente nell’operare una scelta. La scuola primaria e quella secondaria offrono degli elementi (anche se molti meno di quanto sarebbe utile) per comprendere le proprie preferenze, oggi più che mai non c’è il problema di reperire informazioni, ma oggi, come sempre, esiste il problema di considerare il proprio modo di essere come luogo di esplorazione al pari dell’Europa, degli Stati Uniti, dell’Asia.
Non possiamo fare tutto, questa è la verità.
Quale rapporto dobbiamo avere con l’orgoglio, ammesso che sia un’emozione necessaria? A che cosa ci serve una buona performance dei nostri figli?
Innanzitutto ci dovremmo chiedere che origine hanno le nostre aspettative su di loro. Hanno a che fare con i nostri rimpianti o i nostri fallimenti? Hanno a che fare con il modo in cui desideriamo che gli altri vedano noi e la nostra famiglia? Se desideriamo che nostro figlio diventi un musicista e insistiamo contro la sua volontà perchè suoni uno strumento è perchè gli è utile o perchè serve a noi per rimediare a un errore che abbiamo commesso in passato?
In secondo luogo, dovremmo tenere a mente che la performance è spesso, ma non invariabilmente, collegata alla passione e che la passione è un aspetto spontaneo della nostra personalità.
Paul Watzlavick sosteneva che uno dei paradossi della comunicazione riguardasse il chiedere agli altri di mettere in atto volontariamente qualcosa che per sua natura avviene spontaneamente: non si può imporre una passione, non la si può coltivare al posto di chi la vive. Una passione dei nostri figli può piacerci o meno, ma osteggiarla o incoraggiarla all’eccesso significa porre l’altro nella condizione di aggiungere all’esplorazione di sè altri significati. Quanti genitori puntano ad avere figli calciatori professionisti, distogliendoli dalla passione autentica e dai valori del gioco di squadra, per spostare la loro attenzione sull’ambizione, sull’agonismo sfrenato e l’aggressività, perchè ne fanno una questione di rango? E quanti altri invece osteggiano una passione che viene o coltivata come atto di ribellione o abbandonata e vissuta per tutta la vita come rimpianto o riprese tardi e con difficoltà estrema?
“Prima amavo le mele perchè piacevano a mia madre, poi odiavo le mele perchè piacevano a mia madre. Ma a me piacciono o no le mele?” (Bruno G. Bara)
L’altro aspetto importante da tenere in considerazione se confondiamo la performance e la passione è il significato che attribuiamo agli errori. Un errore o una difficoltà possono generare frustrazione in chi li vive, ma a questa emozione può venire data un’importanza estrema, che ci dà il senso della nostra inadeguatezza o un senso di curiosità e di sfida con noi stessi. E’ importante non lasciare che i risultati delle attività dei nostri figli definiscano il loro valore personale o la nostra adeguatezza di genitori, ma che ci diano informazioni sul punto in cui siamo e sul pezzo di strada che dobbiamo ancora percorrere. Tornando all’esempio dei bebè che manipolano i libri, se abbiamo in mente l’ideale del bimbo che sta in braccio e ci ascolta leggere, il fatto che il bimbo morda un libro è un errore, ma se guardiamo al bimbo dimenticando le aspettative, siamo nella posizione di comprendere cosa fa e cosa dobbiamo fare noi per aiutarlo. Ovvio che l’obiettivo è quello di stimolare l’interesse per i libri, semplicemente dobbiamo avere fiducia nel fatto che l’obiettivo si raggiunge per gradi. Il mio anziano istruttore di scuola guida, quando avevo paura della strada, mi diceva “signorina, se vuole salire una scala, si comincia dal primo gradino non dall’ultimo in cima. Prima superiamo la paura”.
Non identifichiamo i nostri figli con la fase che attraversano. Alle volte le passioni sono come i funghi, nascono una mattina e poi spariscono come sono arrivate. Essi stessi si esplorano, cosa faranno da grandi e come, “lo scopriremo solo vivendo”. Sono una cosa diversa da noi e dalla nostra storia.
Del resto quando una pianta lancia un seme, lo fa lontano da sè.
Buone passioni a tutti 🙂