Si può essere offensivi con la gentilezza? La differenza sta negli occhi di chi guarda.

Excusatio non petita, accusatio manifesta

Uno dei modi migliori per evidenziare contro ogni intenzione qualcosa che si vuole nascondere, è negarla. Nella nostra mente, per negare bisogna prima affermare e poi, per cosi dire, metterci una croce sopra. Se non vogliamo sembrare in un certo modo, bisogna non comportarsi in un certo modo, ma anche fare come se quel modo non esistesse. Seguo regolarmente la pagina di Iacopo Melio che, qualche giorno fa, riportava il messaggio di una mamma entusiasta per Paprika, un cartone animato trasmesso dal canale Frisbee, che narra le vicende di due gemelli, di cui uno è seduto su una sedia a rotelle. Ciò che condivido del suo entusiasmo è il fatto che ciò che nel nostro discorso quotidiano chiamiamo disabilità, in Paprika è un fatto assolutamente naturale, che tutti trattano con disinvoltura, senza che la carrozzina sia oggetto di discussione, ma con cui tutti i personaggi interagiscono senza imbarazzo o gentilezza. La carrozzina c’è, come il cielo, gli alberi e tutti gli altri oggetti a cui normalmente non prestiamo attenzione, perciò nessuno la evita o distoglie lo sguardo, ma ci si appoggia, ci salta sopra, la spinge e così via.

Breve digressione: la mia Barbie lavorava, aveva abiti consoni ad una professionista ed una valigetta, un’automobile, una casa in campagna e una in città, un ufficio, cosicché mi é sembrato naturale che una donna vivesse in questa dimensione o con queste aspettative e pazienza per il decolleté con i tacchi a spillo, per i quali non sono mai stata portata. Ma quel che conta è che i tempi in cui il ruolo naturale di una donna era solo quello di una principessa che prima cerca marito, poi diventa madre e angelo del focolare sono storia, per me. O per lo meno, anche se certi stereotipi sulla femminilità sono duri a morire, c’è stata un’alternativa culturale alla Cenerentola di Walt Disney o alla Barbie Fior di Pesco, che mi ha permesso di demarcarmi da un certo tipo di aspettative senza pormi particolari interrogativi.

Tornando a Paprika, il suo enorme valore dipende dal fatto che include una possibilità, quella che un bambino possa muoversi su una sedia a rotelle, senza che la sua mobilità sia il tema della storia. Stan non è la povera Clara (come la chiamavano tutti) e adora giocare a pallacanestro, senza alcun conflitto interiore. Valore che viene vanificato da articoli come questo. Se cercate online da febbraio 2018 in poi trovate diversi articoli, l’uno l’imbarazzante copia-incolla dell’altro, ma ho scelto di linkare questo in particolare per la parola handicap, la più odiosa di tutte, perchè anche se utilizzata in modo diverso dal suo significato originario, identifica un gruppo di persone in termini di “svantaggio”. Il risultato è che un prodotto culturale che rappresenta la normalità priva di stereotipi con lo scopo di sconfiggerli, viene trasformato nella propria nemesi, un cartone animato che parla di qualcosa. Espressioni come “non sei diverso” trasmettono una strana sensazione, quella in cui viene affermata la diversità per metterci poi una croce sopra. Poi la neghi, ma prima l’hai pensata. 

Per fortuna nessuno ha recensito “Hey Duggee”, con cui mio figlio ed io facciamo sonore risate, ma per curiosità ho voluto verificare su Wikipedia un mio sospetto. Le vicende si svolgono in un campo scout: attitudini, preferenze e colori vengono assegnati casualmente ai personaggi, come accade in natura. Ogni avventura si apre con la sveglia che suona, i bimbi che vanno al campo scout in auto con i loro familiari e si chiude con gli stessi che si presentano all’uscita dopo il Super Duggee abbraccio, che include tutti i piccoli alunni. Le coppie bambino-genitore in poche immagini di pochi secondi rappresentano le famiglie: pur non essendo particolarmente connotato in termini di genere nel suo complesso, in un caso c’è un elefante che va a prendere un piccolo coccodrillo. Ebbene, Wikipedia descrive tutti i personaggi senza menzionare la famiglia di nessuno, solo nel caso del coccodrillo riporta: “Happy ha una madre elefantessa”. Lo immaginavo e ci avrei scommesso del denaro senza timore di perderlo. Perché un elefante in pantaloni gialli è una mamma, se si reca al campo scout per riaccompagnare a casa un cucciolo? Per quel che ne sappiamo, potrebbe essere un elefante maschio, ma anche un vicino o una vicina di casa, un o una baby-sitter.

La diversità è nell’occhio di chi guarda, spesso i bambini non la vedono e per far sì che crescano senza pregiudizi o stereotipi basta non evidenziarla.

Noi adulti apparteniamo ad una generazione in cui a certi fenomeni della realtà viene attribuita la connotazione di diversità e tali connotazioni conformano la nostra mente, in un modo rilevabile e misurabile in psicologia. Possiamo condividere o meno uno stereotipo, ma lo abbiamo comunque in mente e se non possediamo alternative che orientino la nostra percezione, non lo mettiamo in dubbio, non lo consideriamo come una costruzione sociale, ma come la realtà stessa. Se non condividiamo uno stereotipo e siamo convinti della bontà di questa idea, cominciamo a sforzarci di non avere un atteggiamento diverso dal solito nei confronti di un fenomeno. Come dice Iacopo Melio, se tutti sono messi nelle condizioni di muoversi liberamente, la diversità non esiste. La diversità non dipende da una caratteristica delle persone, ma da quanto l’ambiente è inclusivo e accogliente con tutti. Nello stesso modo, se evitiamo di fare domande sul genere, sulle preferenze sessuali, sul desiderio di maternità che sono argomenti personali non meno della frequenza con cui ci si fa la doccia, noterete che la differenza non esiste.

Nessuno infatti ha mai parlato di diversità a proposito di un uomo single, che si veste sempre e solo di giallo e indossa uno strambo cappello giallo in tutti i momenti della giornata, dialoga con una scimmietta pensando di ricevere risposte comprensibili trattandola come un figlio, ma sono certa sarebbe più insolito incontrare lui che una persona in carrozzina. Eppure quasi tutti amiamo Curious George.

Buona uguaglianza a tutti 🙂

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