Perchè ripenso sempre al passato, anche se è trascorsa una vita? Perchè certe situazioni mi feriscono come quando ero bambino?

Quasi tutti possediamo, nella nostra storia personale, ricordi dolorosi a cui preferiamo non pensare, argomenti che tendiamo ad evitare, reazioni emotive forti a situazioni che non viviamo in prima persona, ma di cui ci sentiamo partecipi perché ci immedesimiamo e che ci riportano indietro, magari di vent’anni, nel giro di un secondo. A dire il vero questo succede anche con i ricordi piacevoli: mio figlio qualche giorno fa ha aperto una scatola di colori e ha esclamato “il profumo dei pastelli a cera!”. Mi sono inginocchiata, li ho annusati anche io e BAM! in un attimo ero alla scuola materna, quasi quarant’anni fa.

Come mai ci sono dispiaceri che non riusciamo a superare? Come mai di testa sappiamo che sono trascorsi gli anni e sono cambiate le cose, ma di pancia continuiamo a pensarci come se fossero accadute pochi giorni prima? Perchè esistono liti che non riusciamo a conciliare o rancori che non riusciamo a superare? Si smette mai di pensare al passato?

Per provare a rispondere richiamo un mio precedente post, in cui spiegavo che la nostra mente è sempre divisa tra due momenti: quello dell’esperienza immediata, l’Io che reagisce a caldo agli eventi e il Me, la parte riflessiva di noi, che arriva sempre dopo a “rimettere a posto” l’esperienza immediata. Cosa vuol dire “mettere a posto”? Vuol dire trovare un significato e un senso alle cose che ci accadono. Alcune volte è facile, perchè magari si tratta di eventi che ci lasciano emotivamente tiepidi o sui quali i nostri genitori ci hanno allenato bene, altre volte è difficile perchè un avvenimento ci trova impreparati, disarmati e rimane come un punto in sospeso, qualcosa che di testa ha una spiegazione razionale, ma di pancia ci lascia costernati e incapaci di accettarlo.

Cosa succede quando ci troviamo impantanati in un ricordo che non ci lascia liberi di guardare avanti e più o meno periodicamente riaffiora facendoci soffrire?

Possiamo immaginare la nostra esperienza di vita come una pallina di neve, che man mano che rotola nel tempo, diventa più grande. Quando è piccolina, se si imbatte in un sasso troppo grande, la palla può disintegrarsi o prendere forme strane, ma man mano che il tempo passa e aumenta di dimensioni, potrà passare sopra ed inglobare sassolini sempre più grossi. Questi sassolini, che definiremo “i casi della vita”, diventano parte della palla di neve e avendoli assimilati e inglobati, ci danno una forma e una dimensione diversa, ci danno la forza di gravità necessaria per assimilare un certo numero di altri sassolini che incontreremo lungo la strada. E’ così che maturiamo e cresciamo: viviamo, facciamo esperienza, impariamo e diventa sempre maggiore il numero di eventi che riusciamo quotidianamente a superare senza che ce ne ne rendiamo conto o che notiamo lo sforzo. Ma cosa succede alla palla se incontra un ostacolo, un caso della vita come una separazione, un lutto, una malattia invalidante, un fallimento, che non riesce ad assimilare e oltre al quale non riesce ad andare?

Si blocca, ma intanto il tempo passa. Evolvere è un fatto potenzialmente distaccato dall’età cronologica delle persone.

Un caso della vita arriva alla nostra coscienza come un impatto, si para di fronte all’Io, all’immediatezza e poi, dopo, arriva il Me per dare senso a ciò che ci è successo. Purtroppo la vita ci pone di fronte a prove in cui questo compito è molto arduo, in cui il fatto di non poter andare oltre è assolutamente comprensibile e riuscirci da soli è impossibile. Se è chiara la differenza tra Io e Me, è anche chiaro il perché: l’immediatezza ci fa vivere le cose in un modo, il Me cerca di rimetterle a posto e non riesce anche se si ostina, perché è come voler piantare un chiodo con un martello che non funziona e pretendere di riuscirci non cambiando strumento, ma picchiando più forte. E’ una lotta contro noi stessi e nessuna parte può vincere, perché sono due parti che hanno la stessa forza, ma ruoli diversi e dovrebbero collaborare anziché combattere.

L’immediatezza è fatta di emozioni, sensazioni corporee, stati d’animo e pensieri che si sono costruiti uno sopra l’altro negli anni e di cui non ci è sempre chiara l’origine o il modo in cui essa influisce sul presente. Ve lo ricordate il momento esatto in cui avete imparato che Roma è la capitale d’Italia? Magari no, eppure deve per forza essere successo. La nostra conoscenza dell’Italia è immagazzinata nell’immediatezza ed è parte integrante delle nostre conoscenze, ma non sappiamo esattamente da quanto tempo e com’è successo.

Come può cambiare l’immediatezza?

Il principale motore di cambiamento è il rapporto con gli altri, che introduce nel Me elementi di riflessione nuovi. Un altro elemento fondamentale è la capacità di metterci nei panni degli altri, che migliora in parte con l’età, perché crescendo indossiamo panni via via diversi (quante cose che ci sembravano incomprensibili da adolescenti, ci sono diventate chiare non appena siamo diventati adulti e abbiamo cambiato stile di vita?) ma anche attraverso un allenamento specifico a tenere a mente più punti di vista contemporaneamente. L’esperienza da sola non sempre è sufficiente, se il “sasso”, il caso della vita (quando non sono più casi uno dietro l’altro) è tanto grosso, ma più si amplia la nostra capacità di spiegare il comportamento di noi stessi e degli altri, maggiore è la quantità di eventi su cui possiamo passare sopra come palle di neve, assimilando e andando avanti.

Per questo motivo è chiaro che rivolgersi a uno psicologo non è una “roba da matti” (ammesso che matti sia una parola che mi piace), ma un percorso che un individuo compie per avere una relazione del tutto peculiare con qualcuno che permetta di introdurre elementi nuovi di riflessione, allo scopo di ampliare il proprio punto di vista, la propria capacità di comprendere se stessi e gli altri, di dare un senso al nostro essere qui, nel mondo, fatti come siamo fatti, con potenzialità e limiti.

Che differenza c’è tra uno psicologo e un amico?

Potete scoprirlo il 10 ottobre! Non siate timidi, c’è ancora qualche posto libero!

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