L’attaccamento sicuro e il demone dell’aggiunta

“Per gran parte del tempo il ruolo della base è un ruolo di attesa, ma è nondimeno vitale. Perchè solo se l’ufficiale che comanda la spedizione ha fiducia che la sua base sia sicura può osare spingersi in avanti e correre dei rischi.” (John Bowlby – Una base sicura)

Si dice che sapere è potere. Io dico: alle volte. Dipende da cosa sai.

Uno dei miti da sfatare è che l’attaccamento sicuro dipenda in maniera assoluta dall’allattamento al seno.

L’attaccamento è prima di tutto una relazione d’amore tra due persone, una piccola piccola e una grande. Ma provate a pensare ad una qualsiasi delle vostre relazioni d’amore in senso lato, ai vostri affetti più duraturi. Sono stati sempre gli stessi o si sono evoluti nel tempo? Sono stati condizionati da un unico comportamento o dal tempo e dalla cose fatte insieme? Ci innamoriamo tutti allo stesso modo con un colpo di fulmine o qualcuno si innamora in modo diverso?

In una relazione sicura, il bambino conosce il mondo e reagisce ad esso con le sue emozioni. I genitori riconoscono le emozioni del bambino, le accettano, le definiscono e guidano il bambino nella loro regolazione, alle volte in modo esplicito, molto più spesso attraverso il modo in cui essi stessi reagiscono alle proprie emozioni, cioè attraverso l’esempio. Possiamo aspettarci che un bambino regoli la rabbia in modo accettabile all’asilo nido se noi per primi perdiamo la calma quando le cose non vanno come vorremmo?

Si dà ciò che si è. Da questo non si sfugge.

Quindi se proprio desideriamo stabilire un legame di attaccamento sicuro con nostro figlio più che domandarci “sto facendo la cosa giusta?”, dovremmo chiederci “Sono una persona sicura?”. Alla prima domanda si può rispondere in molti modi, ma è relativamente facile trovare una risposta, basta cercare conferme o smentite e molto probabilmente, nel mondo che ci circonda, troveremo entrambe. Al contrario, rispondere alla seconda domanda significa domandarsi se stiamo bene, se siamo in pace con la nostra storia personale, se siamo equilibrati nel riconoscere le nostre emozioni, definirle a noi stessi e gestirle e, nel più sconvolgente dei casi, domandarci: “cosa posso fare per stare meglio con le mie emozioni?”

Indipendentemente dal nostro stile di attaccamento, non sono i singoli episodi che determinano i nostri legami, ma la ripetitività di un modo di relazionarsi, il nostro stile, quello che ci viene spontaneo fare, indipendentemente dai “manuali di istruzioni” che circolano nelle librerie.

Me lo ricordo ancora il giorno in cui con gioia accolsi in mio figlio la prima manifestazione di rabbia: era un bebè, e per prepararlo prima di uscire distrattamente gli tolsi di mano un giocattolo. Divenne rosso in viso, strizzò un po’ gli occhi e strinse i pugnetti, fece “mmmmm”, un gridolino breve e indispettito “Wow! E’ rabbia questa? Hai ragione, ti ho preso il giocattolo”. Io non ho problemi con la rabbia, è l’emozione con cui rimetto in ordine le cose, per me. Ma non ho avuto lo stesso atteggiamento sereno quando, per esempio, era a pancia in giù, voleva strisciare per prendere un giocattolo e piagnucolò perchè non ci riusciva. Gli avvicinai subito il giocattolo. A posteriori definirei quell’emozione “frustrazione” e invece di definirla e incoraggiarla la bloccai risolvendo il problema di mio figlio al suo posto.

Ho commesso un errore irreparabile?

No. Ma mi dovrei chiedere (e l’ho fatto, eh?) che rapporto ho con la frustrazione e come posso far sì che mio figlio la accetti, la affronti e vada oltre.

Sono un’entusiasta volontaria di Nati per Leggere, è un progetto in cui credo tantissimo. Al di là di questo, mi piace leggere con il mio bambino in braccio. Questo favorisce un attaccamento sicuro? Sì, è un elemento. Ma se lo obbligo a leggere quando non vuole, non colgo i suoi segnali di noia o di curiosità verso altri stimoli o se mi concentro sulla prestazione e lo obbligo a leggere a due anni, non sto dando ad un gesto amorevole e di contatto la qualità di una relazione sicura. Ci sto mettendo altro.

Tornando all’allattamento al seno, in questo esperimento si dimostra che il legame di attaccamento è legato al calore e all’affetto, non al nutrimento in sè. L’allattamento al seno è la cosa migliore da un punto di vista sanitario, se vogliamo anche da un punto di vista psicologico, ma tra allattare artificialmente prevalentemente con calore e amore, rimanendo sintonizzati con le emozioni nostre e del nostro bambino e allattare al seno prevalentemente facendosi i selfie e condividendoli su Instagram, concentrandosi sull’ esibire pubblicamente l’immagine di sè, preferisco abbondantemente la prima (prevalentemente perchè le eccezioni non contano).

L’allattamento riguarda un periodo e un ambito della vita dei nostri bambini, è importate, è bello, è faticoso, ma va relativizzato: non è la fine del mondo se non va come avremmo voluto, i nostri figli possono sentirsi lo stesso sicuri con noi.

I bambini non si attaccano solo alla propria mamma, ma, come tutte le mamme avranno avuto modo di notare, si attaccano ad ogni figura di riferimento che si prende cura di loro, in modo specifico. Di fatto più numerosi sono i legami familiari, più modalità di attaccamento potrà sperimentare il bambino. Possiamo avere una mamma un po’ evitante e un padre sicuro, o viceversa e garantire comunque uno sviluppo sereno ai nostri figli. Ci possono aiutare i nonni o gli zii. Quanti di noi possono dire che hanno una zia o una nonna che sono come mamme? Sentitevi rassicurati da questo dato: non dipende sempre tutto unicamente dalla mamma, anche se la mamma è importante.

Tenete sempre presente che il nostro stile di attaccamento è piuttosto stabile: quello che abbiamo oggi, è quello che ci siamo costruiti sopra e a partire da le nostre esperienze nei primi anni della nostra vita.

Riprodurremo invariabilmente le nostre sofferenze nei nostri figli?

Non è detto.

L’attaccamento può essere modificato da esperienze positive lungo l’arco della vita. Quanti di noi possono affermare di essere stati cambiati in meglio dall’amore di una persona o da un’amicizia? Io sono tra queste e lo dico senza imbarazzo.

La mia conclusione è: per dare il meglio di se stessi a qualcuno non esistono regole o istruzioni. Esistiamo solo noi, che siamo ora barche in mezzo al mare, ora porti sicuri a cui approdare. Ma non ci si può sentire porto senza essere stati prima barca e aver toccato terra. Insomma, abbiate cura di voi stessi e delle vostre emozioni, se volete essere figure di attaccamento migliori.

Buon attaccamento a tutti 🙂

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