Ovvero perché avere buone idee non basta per prendere buone decisioni.
Perché spesso, pur sapendo che un comportamento è sbagliato e ci danneggia, lo ripetiamo come se fosse più forte di noi?
La psicologia si interroga da sempre su questo dilemma. Io, come tutti i terapeuti, ho scelto una scuola di pensiero, una spiegazione specifica di questo aspetto dell’esistenza, ma altri terapeuti descriverebbero questo problema in altro modo e fornirebbero spiegazioni diverse.
Quante volte ci capita di dire “Razionalmente so che …” (finite la frase come più vi pare “dovrei mangiare meglio” “dovrei fare più movimento” “potrei passarci sopra” “potrei lasciare perdere” “non è una cosa personale contro di me” ecc…) e di proseguire con un “MA finisce sempre che… (anche qui, si può completare a piacere).
Per dare una spiegazione di questo, la prenderò un po’ alla lontana.
Vi è mai capitato di dormire da soli e non sentirvi particolarmente sicuri, anche in assenza di pericoli imminenti? In una situazione come questa, probabilmente un rumore vi farebbe trasalire pensando magari a dei ladri che si introducono in casa vostra e solo in un secondo momento vi direste, in modo esplicito “Ah, no, era il vicino che rientrava a casa propria”.
Il nostro trasalire è l’immediatezza, l’Io che risponde istintivamente agli eventi che accadono, ai comportamenti degli altri, ai nostri stessi pensieri che attraversano la mente mentre ci muoviamo nel mondo, mentre il darsi una spiegazione è un’attività sempre successiva, il Me che osserva come l’Io si comporta e “rimette a posto” l’emozione immediata.
Posso sentire un forte batticuore e nell’immediato spaventarmene, pensare a un infarto, per poi mettere a posto questa sensazione dicendo che no, probabilmente sono solo preoccupata per i problemi che dovrò affrontare al lavoro più tardi. Questa spiegazione può funzionare e regolare il mio spavento, evitare che io chiami il 118 credendo di morire, oppure può non funzionare (anche se so che è vera), lo spavento può prendere il sopravvento e farmi andare al lavoro sentendomi molto a disagio, oppure può farmi chiamare il 118 perché, anche se so che si tratta di un attacco di panico e non morirò, meglio controllare, perché di pancia mi sento che sto morendo.
La nostra vita è un continuo regolarsi tra questi due momenti: l’esperienza immediata e la spiegazione dell’esperienza immediata.
Nella nostra vita quotidiana, questi due momenti della nostra coscienza per eventi che ci lasciano emotivamente tiepidi, funzionano bene finché la spiegazione che ci diamo della nostra esperienza funziona nel regolare le nostre emozioni, cioè quando ciò che ci appare razionale, ci appare anche vero. Ammesso che ci diamo una spiegazione 😊
Così può succedere che usciamo dal lavoro, percepiamo una fame che non è esattamente fame, è più voglia di un metro quadrato di focaccia o di un gigante barattolo di crema di nocciola e non siamo esattamente consapevoli del perché, ma solo di un confuso senso disagio, poi mangiamo fuori pasto qualcosa che generalmente è buono, ma non fa per niente bene e poi ci chiediamo come mai non riusciamo a metterci a dieta. Oppure può succedere che per tutta la vita passiamo da un dietologo a un altro, ci entusiasmiamo per una dieta, la seguiamo per un po’ e poi la accantoniamo, fino al prossimo paio di pantaloni che non ci entra.
Di cosa è fatta l’immediatezza e come si può cambiare?
Perché avere buone idee non basta per prendere buone decisioni?
Ripeterò con parole diverse quello che altrove ho spiegato in altro modo.
Quando pensiamo a una mela, abbiamo in mente il frutto del melo, il suo sapore dolce/aspro, i vari colori di cui può essere una mela, la sua forma tonda. Siamo certi che se affermiamo “Ho mangiato una mela a merenda” tutti abbiano chiaro di cosa mi sono nutrito e che nessuno ravvisi alcuna forma di pericolo.
Probabilmente, Biancaneve ci chiederebbe preoccupata: “E com’è andata? Tutto bene?”, ammesso che non abbia una reazione isterica per non aver ancora superato il trauma dei suoi dissapori con la strega cattiva.
Siamo esseri storici e comunichiamo con gli altri avendo in mente il particolare significato che per noi ha una parola, dando per scontato che il significato che noi diamo alle cose sia universale. Non siamo sempre consapevoli del significato che diamo a una situazione, una frase, un comportamento, perché non riflettiamo sempre su cosa significhi per noi e quale sia la storia di un determinato oggetto, ma tendiamo, nell’immediatezza a dare sempre lo stesso significato a un evento che assomiglia a una situazione che abbiamo già vissuto, anche se nell’immediatezza non ce ne rendiamo conto.
L’immediatezza è un significato automatico, che si è costruito insieme a noi, nella nostra storia personale, nel modo particolare in cui ci siamo sentiti in un insieme di situazioni che abbiamo percepito come simili, è una conoscenza procedurale, funziona nello stesso modo in cui manteniamo l’equilibrio su un autobus: lo facciamo senza mai soffermarci a pensare sul come ci riusciamo e alla bell’e meglio stiamo in piedi.
Quando ci diciamo “ti amo” non ci stiamo dicendo la stessa cosa. E quando litighiamo forte con qualcuno alle volte rimaniamo allibiti dalle risposte, ma in realtà è assolutamente normale. Spesso parliamo una lingua diversa dall’altro, anche se apparentemente non è così.
Perché commettiamo sempre gli stessi sbagli dunque?
Perché gran parte delle cose che facciamo assomiglia molto al modo in cui guidiamo l’auto: lo facciamo senza riflettere su come e quando cambiamo la marcia, perché in questo modo abbiamo i pensieri liberi di andare dove vogliono. Semplicemente, le procedure per muoverci nel mondo, per stare in relazione con gli altri e con noi stessi le abbiamo imparate molti molti anni fa.
Come possiamo modificare la nostra immediatezza?
Solo attraverso altre esperienze, a modi diversi, non tanto di ragionare, quanto di sentireuna cosa che ci capita abitualmente. Può capitare, nel migliore dei casi in modo più o meno casuale nel nostro percorso di vita (per esempio quando attraversiamo una crisi personale e ne veniamo fuori più saggi e consapevoli), oppure possiamo chiedere aiuto a qualcuno se il guaio è piuttosto grosso.
Dobbiamo diventare consapevoli non del perché facciamo una cosa, ma del come: osservare in modo esplicito la nostra immediatezza senza giudicarla ci può aiutare a cambiare.
Non è un lavoro sul perché mangio un metro quadrato di focaccia e un chilo di crema di nocciole, è un lavoro sul come mangio, quando e avendo in mente cosa. E’ rendere esplicito ciò che nel quotidiano è ovvio e vedere l’effetto che fa vederselo davanti. E come cambia la vita se certe cose, invece di farle e basta, le osservo mentre le faccio.
E’ quasi tutto qui.
Buon automatismo a tutti 😊
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