Articolo originale su Arlequins, a cura di Valentino Butti
Il “Gruppo Autonomo Suonatori” (G.A.S. d’ora in poi), con un nome a cavallo tra il prog primi anni Settanta e band “alternative” post ’77, è un progetto ideato da Claudio Barone (voce, basso, bouzouki, mandolino) sul finire degli anni Novanta. Oggi, finalmente, dopo più di venti anni dalla fondazione e con una line-up più volte modificata, i G.A.S giungono all’agognato esordio discografico con “Omnia sunt communia” grazie all’interessamento della Black Widow di Genova. Del nucleo storico, oltre a Barone, sono rimasti Simone Galleni (chitarra, basso, bouzouki) ed Andrea Imparato (flauto traverso e sax), mentre dei primi anni 2000 è l’innesto di Valter Bono (batteria e percussioni) e più recenti gli “acquisti” di Thomas Cozzani (synth e programmazione), di Andrea Foce (pianoforte, piano elettrico, flauto irlandese) e Andrea Cozzani al basso come ospite nell’occasione.
Un album, “Omnia sunt communia” (“Tutto è comune”), che trasuda amore per il progressive (pop…) italiano degli anni Settanta e per gruppi come Le Orme o la Premiata, aggiungendo qualche fiammata folk, una spolverata jazz-rock ed anche qualche delicata fragranza Canterbury che arricchiscono il menù proposto all’ascoltatore.
Ben quattro degli otto brani presenti sono strumentali come “Alice Spring”, la prima traccia, che fonde le sollecitazioni sinfoniche con la morbidezza dei Camel irrobustite dal sax di Imparato. “Preludio I” percorre, con garbo ed in poco più di due minuti, la musica rinascimentale con il mandolino, il bouzouki ed il flauto come elementi di spicco. “Preludio II” è incentrata, in prima battuta, sulla chitarra acustica e solo circa a metà, una delicata batteria e le tastiere, altrettanto delicate, aggiungono ulteriore lustro alla composizione. Con l’ultimo strumentale, “Il richiamo della Sirena”, viene calato il “carico” a briscola. Pezzo complesso, dalle molteplici sfaccettature, ma godibilissimo sin dal primo ascolto per il suo dipanarsi comunque fluido, senza forzature o momenti di impasse. Si distinguono il lavoro percussivo fantasioso di Valter Bono ed i synth di Thomas Cozzani (i due autori del brano). Tutto il gruppo risponde magnificamente ad ogni sollecitazione come, ad esempio, nell’intervento deciso del sax di Imparato sul finale.
Quattro anche i brani cantati, tutti da Claudio Barone. L’approccio lirico è, forse, un po’ ingenuo (abbastanza tipico nei Settanta nostrani, peraltro) ma nel complesso i testi superano la prova con disinvoltura. “La regina” (dedicata alla fidanzata, poi moglie, di Barone), con una lunga e significativa introduzione al pianoforte, sottolinea l’animo più romantico della band, con qualche passaggio folk a ravvivare le belle melodie e le evoluzioni strumentali. Anche “Il sacco di Bisanzio” (che ricorda la caduta della città nel 1204 dopo l’assedio crociato) combina sonorità tipicamente “progressive” con musicalità etniche che ben si amalgamano con le tematiche del testo. “Beatrice” (sì, quella dantesca), che supera i nove minuti di durata, vive anch’essa sulla dicotomia tra suoni antichi (il bouzouki) e quelli moderni, elettrici. La suddivisione in tre parti con “Intro” (etnica…), “Beatrice” (molto “Orme” old style, soprattutto nel cantato) e “Beatrice pt. II (decisamente rock) conferma ancora una volta la presenza di varie “anime” nel gruppo. La title track, “Omnia sunt communia” (era il grido di battaglia dei contadini tedeschi durante le rivolte guidate da Thomas Müntzer) è l’apice compositivo dell’album. Un “trip” progressive ricco di pathos, drammatica nella narrazione, raffinata e pure barocca, a tratti, nelle lunghe fasi strumentali; peccato il finale troppo affrettato.
“Omnia sunt communia”, dunque… Progressive o regressive? Il buon Ponzio Pilato (per motivi più importanti…) se ne lavò le mani. Facciamo altrettanto, lasciando ad altri la scelta e la risposta. Nel frattempo, ci portiamo il cd pure in auto.